
Tutto scorre, tutto cambia, molto probabilmente non sono più la stessa persona di allora.

Pratico Aikido da 8 anni, troppo poco.
Ma guardo queste Olimpiadi 2012 ormai agli sgoccioli e mi faccio molte domande.
Ogni volta che vedo la perfezione raggiunta da questi atleti mi chiedo cosa mi alleno a fare al dojo.
Accendo la TV, pugilato. C’è il nostro Vincenzo Mangiacapre: poche tecniche, sinistro destro gancio montante…ma velocissime, potentissime e letali. Ogni schivata, ogni colpo portato su quel ring mi fa sentire un presuntuoso: mi ricorda le troppe volte che sul tatami vedo portare pugni (ah no chiedo venia, si dice atemi, è più aikidocally-correct nelle maniere più assurde, con dita piegate male, braccia iperestese, una errata pronosupinazione dell’avambraccio, spalle contratte e chi più ne ha più ne metta…
Tutti bravi sul tatami ad eseguire tecniche da “chudan tzuki” o “jodantzuki“, pugni alti e bassi. Ma mi chiedo: io saprei davvero eseguire uno shihonage su un pugno così veloce e potente? Una specie di fulmine con in più la massa di cinque TIR uno sull’altro? Non credo.
Cambio canale, guardo un po’ di ginnastica ritmica.
Cosa c’entra la ginnastica ritmica con l’aikido?
Niente?
Quelle ragazze si muovono seguendo il ritmo, facendo acrobazie incredibili e spesso coordinandosi con vari attrezzi. Fanno le capriole con leggerezza, altro che certe “ukemi” che si vedono nei nostri dojo. Fanno la spaccata in volo, sagittale e frontale, come fosse nulla, quando molti di noi hanno problemi anche soltanto a fare quei dieci minuti di stretching ogni tanto senza sembrare dei robot arruginiti.
Basta basta, prendo il telecomando e mi fermo sul taekwondo, almeno vedo delle cinture nere che mi rendono l’atmosfera più familiare se non addirittura comprensibile. E confesso che la versione “sportiva” di quest’arte marziale non mi piace quasi per nulla. Eppure, sono davvero bravissimi a gestire e studiare la distanza, passano molto tempo a rubare millimetri all’avversario e quando finalmente sono alla giusta distanza ma prima che l’altro se ne accorga sferrano calci velocissimi. E io, saprei rispondere a uno di quei calci? Irimi nage su mae geri, lo saprei davvero fare? Non su un mae geri tirato da una persona che alza la gamba come fosse ad una visita dall’ortopedico. Non un mae geri come se stesse provando annoiato un paio di scarpe col padre, intendo un mae geri tirato da uno specialista! Saprei rispondere? Non lo so. Temo di no.
Per scaricare il testosterone accumulato guardandoli lottare, cambio ancora canale e mi impongo un po’ di nuoto sincronizzato.
Otto atlete che si muovono come fossero un corpo solo, alcune squadre sono così allenate che sembrano radiocomandate. E inevitabilmente penso a quando durante gli allenamenti non riusciamo neppure a piegarci tutti sulla stessa gamba quando il Maestro di turno fa stretching. Non ho ancora capito perché, ma se il Maestro si piega sulla sua gamba sinistra, una parte del dojo si piegherà sempre sulla destra, e viceversa. In dojo piccoli quanto ENORMI. E dire che aikido dovrebbe essere proprio capacità di ascoltare il corpo, di esser sensibili ai micromovimenti. Ad un grande sensei una volta ho sentito dire “ma come, ci riescono gli uccelli negli stormi, i pesci nei loro banchi, e noi umani che siamo la specie più evoluta no?“. Ecco, appunto. Umiltà infinita.
Riflessioni simili quando sul canale successivo mi tocca la disciplina che, confesso, capisco di meno: il dressage. Una disciplina in cui cavaliere & cavallo raggiungono un tale livello di empatia e comunicazione che riescono a fare tutta una serie di movimenti incredibili. Ecco, trovo una “violenza” quel tipo di cavalcatura, ma devo ammettere che quel tipo di empatia e di “scambio di energie” sono qualcosa che mi ispira. Penso a Tada sensei e ad i suoi allenamenti dedicati ad “i shin de shin“, alla trasmissione dei pensieri “da cuore a cuore“.
Non resisto più di cinque minuti cinque, il dressage raggiunge il suo livello di saturazione e salto subito al prossimo canale: judo. Wow! Kimono in taglio “giapponese”, cinture, tatami…mi sento a casa. Ma anche qui…mi pongo una domanda stupida: se dovessi fare una qualsiasi tecnica ad un judoka, quale saprei e potrei fare?
Troppo impegnativa la risposta per il caldo di Agosto e sul prossimo canale c’è una disciplina troppo invitante: scherma. Con la loro spada gli schermidori si cercano a suon di affondi, stoccate, colpi che mi ricordano gli scatti fulminei di un serpente. Potevo mai non pensare all’aikido guardando una spada? Forse i ragazzi che ho visto allenarsi meglio con la spada erano alcuni allievi di Corallini sensei durante un suo stage, devo ammetterlo. Li ho visti tirare dei “choko tsuki” che eran davvero tremendi, stupendi davvero. Solo che mi chiedo una cosa: messi davanti ad uno di quegli schermidori, riuscirebbero a fare una sola parata una? O comunque, ci riuscirei io? Vedi sopra.
Mi faccio troppe domande.
E ci sono troppe discipline in quest’edizione delle Olimpiadi, ormai quasi mi danno la stessa noiosa sensazione dei super centri commerciali: ci trovi tutto quello che vuoi.
L’aikido non è uno sport. Tantomeno una disciplina olimpica. Anche se c’è un’interessante intervista del 1990 tra Ueshiba Kisshomaru e il professor Imamura Yoshio,
Presidente della Nihon Budo institute:
DR. IMAMURA: al momento attuale la società sembra proprio domandare un’attività di questo tipo.
Fin dall’inizio lo spirito ispiratore dei partecipanti alle Olimpiadi è stato di libertà e pace. La prima condizione per partecipare è sempre stata il non aver mai messo in pericolo la vita di uno degli avversari. Tuttavia, specialmente in anni recenti, è venuto sempre più diventando un luogo di esibizione di nazionalismi; è venuto il tempo per una completa ridiscussione di questo intero movimento.DOSHU: Sarebbe molto interessante che qualcosa come l’Aikido, che rifiuta ogni tipo di competizione, entrasse alle Olimpiadi e mostrasse le sue tecniche per essere valutato dal giudizio della comunità mondiale.
DR. IMAMURA: Qualcuno deve certamente provarci. A maggiore ragione nel nostro paese, specialmente ora, che la competizione sembra aver preso così tanto piede.
Certamente qualcosa come l’Aikido che è senza problemi di vittoria e sconfitta, dovrebbe essere sviluppato e diffuso.
Non mi auguro assolutamente che l’aikido diventi disciplina olimpica.
Non mi auguri che l’aikido abbandoni i suoi patrimoni infiniti di conoscenze su energia, equilibrio, respirazione in nome di un risicato “regolamento di gara”, neppure nei miei incubi.
Mi auguro che noi aikidoka diventiamo degli Olimpici!
Mi auguro di non vedere più persone lamentarsi perché ad uno stage un 6° dan gli chiede di fare esercizi che loro reputano “per bambini” o “cose che sanno già fare”.
Mi auguro di non vedere più cinture nere correre lungo il tatami con il pugno teso come fosse un ariete distruggi porte…non dico tirare pugni incredibili come quelli di Mangiacapre o “Tatanka” Russo, ma almeno portare sul tatami qualcosa di credibile!
Tra le cose che rovinerebbero l’aikido se diventasse uno sport a tutti gli effetti, molti citano la competitività degli atleti.
E mica sui nostri tatami c’è l’invidia?
E mica esiste una Freudiana invidia dell’hakama?
E mica esiste qualcosa tipo il complesso del dan?
E mica agli stage c’è gente che letteralmente sgomita e fa sgambetti pur di arrivare in prima fila?
Mi diranno: “ma Dario devi capire che l’aikido non è difesa personale, l’aikido è una ricerca di tipo diverso, è un budo moderno, è una Via nobile etc etc etc“. Sì, lo so. Conosco queste cose e le condivido. Le studio costantemente e mi entusiasmano.
Eppure ditemi quel che volete, ma secondo me se potessimo sostituire un po’ della spocchia e della presunzione di molti di noi con un po’ della tenacia e la dedizione di molti Olimpici…forse sarebbe più facile praticare aikido. Sarebbe più bello, ecco. Inutile elencare gli infiniti aspetti Yang, positivi ed espliciti dell’aikido. Mi piace approfittare delle Olimpiadi per sottolineare alcuni aspetti Yin, nascosti, ombrosi.
Un aikidoka, in particolare un buon uke, dovrebbe essere un atleta di decathlon. Magari di più! Forte MA flessibile, preciso MA fluido, sorridente MA concentrato.
Ecco, se potessi in qualche modo unire la forza di Clemente Russo con l’eleganza di Eugenia Kanayeva…forse mi sentirei pronto ad iniziare a studiare aikido seriamente.
Ma allora forse si chiuderebbe il mio enso, si chiuderebbe il mio cerchio zen.
Il mio cerchio Olimpico!
Ciao Dario (se permetti di darci del tu
sono un aikidoka come te, dal 2003. Sono rimasto colpito dai tuoi interragotivi e dall’accattivante titolo di questo post ripubblicato da Chierchini Sensei su AIN. Ho preferito lasciare qui il mio commento, poiché spinto dalla curiosità ho voluto prima conoscere un po’ di più di questo “collega” scrittore. Così ho sbirciato qua e là nel blog, un po’ di articoli e la tua tesi (che ammetto ho scaricato in pdf ma devo ancora leggere per bene). Tutto molto interessante, complimenti!
Tornando all’articolo reputo leciti i tuoi interrogativi, anch’io sono appassionato di olimpiadi e ogni volta mi incollo per quanto possibile alla TV (che accendo ogni 4 anni
ammirando le gesta degli atleti più che impazzire per i successi azzurri. Ogni sport da te citato l’ho seguito con ammirazione (eccetto il dressage che un po’ di stufa) verso le qualità/punti di forza espressi dall’olimpico di turno. Lo credo bene che ti hanno stupito i pugili (e chi farebbe shiho-nage a un colpo di Tatanka? sarebbe già tanto schivarlo…), così come le ginnaste, ma ognuno di loro – converrai con me – è specializzato in qualcosa. Qualcosa che magari pratica sin dalla tenera età, magari si allena per 8 ore al giorno (russe e cinesi arrivano a 11!!) segue una dieta ad hoc ed è seguita dai migliori maestri del proprio paese. Scusa se è poco.. tra l’altro chi va alle olimpiadi è tra i migliori del proprio Paese, su migliaia di praticanti!!
In aikido e nelle arti marziali del Budo (non lo Judo o il Taek-won-do che avrai visto, anni luce dalle loro origini) è la stessa cosa. Vedrai pochi ma buoni se non ottimi praticanti, atletici, che tirano atemi come si deve, che non si lamentano mai e fanno di tutto per migliorarsi (non solo le 2-3 lezioni settimanali). Molti di più saranno i non-olimpici, non so se mi sono spiegato… La forza dell’aikido e del budo in genere sta proprio nella non-competitività, ci mancherebbe ritrovarsi alle olimpiadi, rabbrividisco al solo pensiero. Senza nulla togliere alla bellezza dello sport (e di alcune atlete
) che, in quanto tale, prevede agonismo e quindi competizioni. Ne ho fatte pure io, nei 12 anni di Karate, e sognavo diventasse sport olimpico ma poi sono rinsavito e ho scelto il “do” dell’aikido.
Bella comunque la tua parte finale, “un aikidoka, in particolare un buon uke, dovrebbe essere un atleta di decathlon. Magari di più! Forte MA flessibile, preciso MA fluido, sorridente MA concentrato” riassume alla perfezione il mio pensiero. Gli atleti di decatholon sono i migliori
buona pratica Dario e buona fortuna per il blog!