
Tutto scorre, tutto cambia, molto probabilmente non sono più la stessa persona di allora.

Due anni fa sono stato a Matala, in Grecia. Un piccolo golfo sull’isola di Creta famoso perché le grotte presenti nella roccia delle sue pareti sono abitate da millenni. Negli anni sono state abitazioni primordiali, poi depositi di munizioni e poi…beh monolocali “hippy” negli anni ’70. Joni Mitchell, Bob Dylan & compagnia sembra abbiano visitato queste spiagge e siano rimasti affascinati dalla loro energia.
Quando sono arrivato, sono stato anche io rapito dalla vibrazione speciale di Matala; ed ho conosciuto dei veri “cavemen“, uomini delle caverne. Persone che a tutt’oggi vivono la loro vita, la loro famiglia, i loro bambini, in grotte scavate nella roccia. In particolare ricordo Arthur, Arthur che scolpiva le radici di arbusti trovati sulla spiaggia in-seguendo la sua fantasia con un coltellino arruginito. Ricordo le partite di calcio insieme e le lezioni di arti marziali. Il chi-kung all’alba e la sua chitarra nel buio totale della montagna. Una volta mi ha portato a visitare la sua casa, la sua personalissima grotta, ed è lì che, a pochi metri dalla “civiltà” eppure lontanissimi…ho iniziato a pensare a cosa volessi davvero dalla mia vita. Affacciandoci potevamo vedere le luci della discoteca, sentire l’house che pompava nella notte ma…alzando gli occhi c’era il cielo, nerissimo ed immenso, zeppo di stelle e racconti. Abbiamo cucinato usando legnetti presi in spiaggia, con una sola pentola (non capirò mai come) abbiamo mangiato pasta, sugo e anche il pane!
Ho fotografato qualcosa di quei giorni, ma pochissimo. Non volevo invadere il suo mondo; mi sembrava di contaminarlo anche soltanto scattando con la mia reflex madeInJapan. Ma la sua casa tra le rocce, con l’acchiappasogni che ti accoglie tintinnando nel silenzio è ancora davanti ai miei occhi.
Arthur parla almeno cinque lingue, legge libri dimenticati da turisti frettolosi e espolora i fondali sottomarini usando le loro maschere. Quando le spiagge finalmente si svuotano, a fine stagione, le rastrella e trova di tutto. Diventa il re di Matala…
Gli ho regalato la mia katana, la mia prima spada di legno. Era la cosa più importante che avessi lì con me in viaggio, e sapevo che era sua dal primo momento che l’abbiamo usata.
Lui mi ha regalato una sua scultura ed il primo disegno cha ha fatto quando è arrivato a Matala.
Arthur mi chiese “don’t you wanna stay here, Dario?“
Non è che volevo restare?!
Me l’ha chiesto con imbarazzo, difficoltà. Con amicizia.
A volte ci penso.
Ed a volte mi pento per quello che gli ho risposto.
PS saluti anche a Sebastien, il più folle dei cavamen di Matala. “It’s easy for me, it’s easy for Jesus“, diceva in continuazione. Spero sia ancora così.
Bellissimo post, Dario.
Ci cedo che un posto così e persone come queste ti rimangono dentro.
Chissà, magari un giorno ci passerò pure io e lascerò sulla spiaggia qualcosa per il re di Matala.
Se solo riscoprissimo anche noi l’arte della semplicità, del gioire di un’alba e di un tramonto, della magia di una notte stellata! Quante emozioni in più rispetto allo stordimento di una serata in discoteca (stordire, annullare i nostri sensi invece di tenerli desti, vivi)..
Col “progresso” della civiltà abbiamo dimenticato questo stupore di fronte all’universo, la felicità (e l’intensità) di una vita semplice..
Ciao Pologirl, grazie d’essere passata! Quanto hai ragione…
Non sarebbe bello riuscire a portare lo stesso stupore dell’universo e dell’esistenza, con la relativa felicità, nelle nostre vite “complicate”?
Ciao Patrizio! Grazie della visita e del commento…anche io come te collego quel posto ad un amore che non c’è più. Ma se c’è qualcosa che Matala insegna è che niente si distrugge, tutto si trasforma…ti auguro di ritrovare il tuo equilibrio e la tua voglia di trasformarti, di viaggiare
Au revoir,
D